Gioco D'azzardo Patologico

Il gioco che ci trasforma in dipendenti. Il GAP- Gioco D’azzardo Patologico.

 • di Gabriella Attimonelli •

Chi di noi non ha mai desiderato la svolta della propria vita, attraverso una vincita al SuperEnalotto? Ebbene sì, tutti noi, almeno una volta nella vita abbiamo desiderato diventare milionari in una bella mattina acquistando un Gratta e Vinci o giocando dei numeri sognati la notte precedente. Ma fino a quando i sogni rimangono lì nei nostri sporadici tentativi, tutto è sotto controllo, quando, si trasformano in un atto compulsivo, allora iniziano a sorgere dei problemi più seri che possono sfociare in una vera patologia.

 

La crisi economica che negli ultimi dieci anni ha colpito l’economia mondiale, ha modificato le dinamiche economiche e culturali della società giocando uno dei ruoli cruciali nella costruzione dell’impulso al gioco d’azzardo patologico.

Oggi, noi tutti sappiamo che ci si può ammalare a causa del gioco.

 

Negli ultimi anni il gioco d’azzardo è aumentato in maniera consistente, tanto che il Ministero della Salute nel 2012 riconosce il GAP – Gioco D’azzardo Patologico non solo come dipendenza senza uso di sostanza, ma come vera patologia.

Il Gioco d’Azzardo Patologico (GAP) è stato riconosciuto ufficialmente come patologia nel 1980 dall’Associazione degli Psichiatri Americani; ed è stato classificato nel DSM IV come “disturbo del controllo degli impulsi non classificati altrove”.
Il DSM IV ha definito il GAP come un comportamento persistente, ricorrente e maladattivo di gioco che comprende gli aspetti della vita personale, familiare e lavorativa del soggetto”.
Il GAP può essere definito una “dipendenza senza sostanza” che in alcuni casi si accompagna all’uso di sostanze stupefacenti e/o di alcool , a problemi della sfera emotiva-affettiva-sessuale o a disturbi da deficit dell’attenzione con iperattività. Inoltre i giocatori possono essere a rischio di sviluppare condizioni mediche generali correlate allo stress come: ipertensione, ulcera peptica ed emicrania.

Per ciò che riguarda la salute occorre distinguere tra chi gioca in modo adeguato (tipicamente per un periodo di tempo breve, con perdite accettabili e in un certo senso calcolate), e coloro che manifestano nel gioco perdita di controllo sulla condotta, disagio emotivo, compulsività e dipendenza.

Coloro che soffrono di GAP divengono progressivamente incapaci di smettere di giocare; i tentativi di controllare o ridurre l’attività di gioco falliscono. In più, l’impegno, il tempo e il denaro spesi nel gioco tendono ad aumentare. A ciò possono associarsi disturbi dell’umore, abuso di sostanze, ideazione suicidaria, tentativi di suicidio. Il decorso è generalmente cronico.

Nella ludodipendenza il vero senso del gioco, attraverso cui si può costruire e scoprire il Sè – quello che vuol dire libertà, creatività, apprendimento di regole e ruoli, sospendendo le conseguenze reali, viene completamente ribaltato per trasformare la cosiddetta “oasi della gioia” in una “gabbia del Sé”, fatta di schiavitù, ossessione, ripetitività.

L’attività giocosa che concerne la manipolazione di elementi aleatori, che vanno dai numeri ai simboli, rappresenta una tradizione degli esseri umani verso la quale l’uomo è propenso anche in virtù dell’eredità, mai completamente abbandonata, della modalità di pensiero magico-onnipotente, che spesso spinge ad associare al gioco il rischio dei propri beni e del denaro.

La diffusione del gioco d’azzardo trova conferma nella stessa etimologia della parola “azzardo” che deriva dal francese “hasard”, una parola a sua volta di origine araba e derivante dal termine “az-zahr” che designava il “dado”, uno dei più antichi oggetti a cui si lega la tradizione del gioco sociale di scommessa.

Lo sviluppo sociale del problema del gioco d’azzardo è in parte favorita anche dalle crescenti possibilità di scelta tra una vasta gamma di tipologie di gioco, ormai sempre più legalizzate, che riescono a rispondere alle simpatie dei giocatori con diverse propensioni e con differenti personalità. Così i giocatori d’azzardo vanno dagli amanti della trasgressione da gran salone, come quella dei giochi da Casinò e delle slot-machine, agli appassionati dei videogiochi che si lasciano conquistare dai sempre più diffusi videopoker, agli appassionati dei giochi d’azzardo popolari, come le lotterie, il gioco di numeri e di schedine, fino al Bingo, la moderna trasformazione del gioco della tombola, che riesce a conquistare in particolar modo le donne o anche interi gruppi, grazie al suo profondo legame con il vissuto di usanze festive a dimensione familiare.

 

Stando alle ultime statistiche il 3% della popolazione italiana è dipendente dal GAP e il mondo femminile ne rappresenta quasi il 40%.

I giocatori maggiormente colpiti da tale patologia sono gli adolescenti, gli anziani, coloro che svolgono un lavoro saltuario o precario e le donne casalinghe che più di tutti hanno a disposizione del tempo libero da impiegare nelle scommesse per soffocare i dispiaceri della vita quotidiana.

È proprio l’effetto anestetizzante dei problemi o sedativo dell’ansia che induce alla dipendenza e allo sviluppo del GAP.

Il gioco rappresenta l’espediente per calmare il senso di noia e solitudine che coinvolge le donne casalinghe o i disoccupati che sono stati tra le prime vittime della crisi economica, determinandone la fine dell’indipendenza monetaria.

 

Lungo il continuum tra gioco d’azzardo ricreativo e gioco patologico, in relazione alle motivazioni che sembrano determinare e accompagnare il gioco d’azzardo, sono state distinte le seguenti tipologie di giocatori:

  1. il giocatore sociale che è mosso dalla partecipazione ricreativa, considera il gioco come un’occasione per socializzare e divertirsi e sa governare i propri impulsi distruttivi;
  2. il giocatore problematico in cui, pur non essendo presente ancora una vera e propria patologia attiva, esistono dei problemi sociali da cui sfugge o a cui cerca soluzione attraverso il gioco;
  3. il giocatore patologico in cui la dimensione del gioco è ribaltata in un comportamento distruttivo che è alimentato da altre serie problematiche psichiche;
  4. il giocatore patologicoimpulsivo/dipendente in cui i gravi sintomi che sottolineano il rapporto patologico con il gioco d’azzardo sono talvolta più centrati sull’impulsività e altre volte sulla dipendenza.

Un giocatore veramente dipendente è una persona in cui l’impulso per il gioco diviene un bisogno irrefrenabile e incontrollabile, al quale si accompagnano una forte tensione emotiva ed una incapacità, parziale o totale, di ricorrere ad un pensiero riflessivo e logico. L’autoinganno e il ricorso a ragionamenti apparentemente razionali assumono la funzione di strumenti di controllo del senso di colpa e innestano ed alimentano un circolo autodistruttivo in cui se il giocatore dipendente perde, giustifica il suo gioco insistente col tentativo di rifarsi e di “riuscire almeno a riprendere i soldi persi”, se vince si giustifica affermando che “è il suo giorno fortunato e deve approfittarne”, sottolineando una temporanea vittoria che supporta, attraverso una realtà vera ma alquanto instabile e temporanea, questa affermazione interiore o esteriore.

 

Dal momento in cui il gioco d’azzardo patologico è stato riconosciuto come un vero e proprio disturbo psicologico, distinto da altre problematiche, sono stati sviluppati diversi programmi d’intervento sul problema che spesso viene, ormai affrontato in vere e proprie comunità di recupero. Molto utili sembrano i risultati legati alla partecipazione dei giocatori a Gruppi di auto-aiuto per Giocatori Anonimi, fondati su diverse tappe per l’uscita dal problema, dal suo riconoscimento, alla condivisione, ai traguardi verso l’abbandono basati sull’analisi delle tecniche di autoinganno comuni che spesso vengono più facilmente osservate nei racconti degli altri che rispecchiano i propri pensieri. Ciò che va sottolineato è che, attraverso metodi individuali, di gruppo terapeutico, di auto-aiuto o di comunità, gli obiettivi terapeutici vanno sempre centrati sulla possibilità di modificare, oltre che il comportamento di gioco, il substrato cognitivo fatto di pensieri legati all’idea che prima o poi arriverà il giorno in cui il gioco potrà cambiare la propria vita risolvendo magicamente i propri problemi.

 

Chi soffre di Ludopatia difficilmente riesce a riconoscere il proprio comportamento disfunzionale come una vera patologia, per fare ciò è importante che l’intervento psicologico o psicoterapeutico non coinvolga solo il giocatore, ma tutto il suo contesto familiare, che talvolta, inconsapevolmente, favorisce l’insorgere e/o il persistere della patologia.

Il lavoro psicologico agirà sulla motivazione al voler smettere del paziente, sulle emozioni e i comportamenti connessi al gioco, puntando a scardinare i meccanismi di dipendenza e tentando di prevenire le possibili ricadute. Inoltre, le ricadute sporadiche del giocatore rappresentano un’occasione per far sperimentare al paziente la sua fragilità emotiva, rispetto all’attività di gioco. Alcuni eventi stressanti come i problemi economici, lavorativi, familiari e di salute possono rappresentare un nuovo input al gioco d’azzardo.

In caso di ricaduta è importante che il giocatore non si abbandoni a sentimenti fallimentari e di frustrazione e che si rivolga al proprio terapeuta per ristrutturare un nuovo intervento di gestione della sua emotività legata all’accaduto.

Esiste una vasta gamma di possibilità per essere aiutati: i servizi territoriali, le strutture residenziali, i giocatori anonimi, gli specialisti ecc. Non esiste un programma adatto per tutti: se una modalità di cura non ha funzionato con un particolare individuo, un’altra potrebbe sortire un effetto positivo.

Vi  ricordo che è attivo un numero verde dove poter trovare tutte le informazioni in caso di necessità: Gioca Responsabile-  Numero verde: 800 921 121.

Il cantautore Daniele Silvestri nella sua canzone Monetine affronta la tematica sulla compulsione nel gioco d’azzardo:

 

“20… 21… 28… Totip, Enalotto,
se non faccio il botto mi butto sul Bingo
e rimango convinto che se anche non vinco
è soltanto questione di tempo.”

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Gabriella Attimonelli

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