Radiohead: il mistero del “suicidio digitale”.

di Mario Donnici


•••{link al brano da lettura consigliato: How to disappear completely – Radiohead}•••


In un mondo in cui “Content is King” e la sovraesposizione digitalizzata sembrano essere l’unica via per risultare visibili, i Radiohead rimarcano l’importanza dell’assenza, invertendo la rotta e facendo parlare di sè con…nulla (o quasi)!

 

Che i componenti di una di quelle che risulta essere una della band più acclamate al mondo siano dei geni assoluti in campo musicale, non vi è alcun dubbio. Ma che nel tempo lo siano diventati anche nel marketing (o se non loro, chi per loro) ne abbiamo avuto l’ennesima conferma. Per due giorni su Facebook, Twitter e sul loro sito: solo un grande vuoto. La presenza dei Radiohead su Internet è gradualmente scomparsa lo scorso fine settimana e così quel “How to disappear completely” (come scomparire completamente), che cantavano in una delle loro canzoni più celebri, sembra quasi profetico: detto fatto! Tutto è diventato completamente bianco, i ritratti e le immagini di copertina degli album inclusi. Persino l’account personale del cantante, Thom Yorke, non dà più segni di vita. La virtuosa band dell’Oxfordshire ci mostra quanto sia efficace mettersi in discussione e saperlo fare nel modo giusto, reinventandosi virus telematico di se stessa: una strategia che non poteva non colpire con un impatto così scenico e devastante anche per quanto concerne la deriva psicologica insita nell’atto del volersi annientare completamente.

Si. Perchè sparire in questo modo dal mondo virtuale è ciò che più si avvicina al suicidio premeditato, solo che con risvolti ancora più imponenti: se non ci sono io è come se non ci fossi neanche tu, ti tolgo l’acqua dal tuo stesso acquario, dall’ambiente affascinante al quale ti avevo abituato, facendoti sentire inerme.

Se poi il tutto avviene così all’improvviso, la modalità funge da amplificatore mediatico. E già senti che ti manco. E più ti manco, più mi rivorresti, come nella più becera psicologia spicciola. D’altronde, come ha detto qualcuno tempo fa: “I pesci sono gli ultimi ad accorgersi dell’acqua”.

Ma facciamo un passo indietro. Solo un giorno prima della sparizione alcuni fortunati fan, che avevano ordinato l’album in prelazione, si erano ritrovati in posta un volantino contenente la scritta “Sing the song of sixpence that goes – Burn the witch – We know where you live”. Un semplice quanto misterioso foglietto stampato in bianco e nero, con il logo dell’orsetto della band, sul quale compariva la filastrocca ‘Sing a song of sixpence’ oltre a quello di un brano inedito del gruppo risalente al 2006 e solo accennato durante un live in quel periodo, ‘Burn the witch’. In basso, invece, una sorta di avvertimento: “Sappiamo dove abiti”.  Questi avvenimenti potrebbero far slittare la data dell’uscita del nuovo album previsto per giugno che, secondo il manager Brian Message, “sarà qualcosa di mai sentito prima” . Infatti, come ha commentato dopo l’accaduto il celebre Rolling Stone: “Il rilascio era stato annunciato per giugno. Ora, alcuni pensano che potrebbe essere ancora presto”.

La faccenda, come osservato da una brillante e a tratti cinica analisi di M. Del Papa (@MaxDelPapa), potrebbe assumere le sembianze di una mera strategia pop che risolve con un malizioso rasoio di Occam il dilemma narcisistico-esistenziale di Nanni Moretti: «Mi si nota di più se non vado oppure se vado e mi metto da una parte?».

“No. Mi si nota di più se non esisto, se mi anniento: come un dio, io rockstar vivo nella mia assenza, e, proprio come un dio sono in grado di risorgere appena voglio!”

E i Radiohead sembrano volerlo fare molto presto: mentre ancora si cercava di snodare il dilemma della scomparsa, dopo solo due giorni la clip di un uccellino cinguettante rompeva l’autoembargo sul loro profilo Instagram. Seguita qualche ora dopo da una seconda clip in stop-motion dove il riferimento a quel “brucia la strega” contenuto nel volantino è questa volta risultato ben più evidente. Ed ecco che, poco dopo le 17 di ieri, è arrivata una nuova canzone, proprio quella Burn the Witch riportata sul misterioso volantino, il cui video contiene quei due brevi segmenti diffusi domenica mattina. Un ennesimo contributo al “mistero Radiohead” lo aveva fornito il produttore della band, Nigel Godrich, che ieri mattina su Twitter aveva pubblicato un post piuttosto criptico con una foto di una pagina di un libro. In sintesi, sono bastati due giorni di mancanza di input per scatenare un circolo vizioso di emozioni nella rete.

Dunque, ecco svelata la brillante campagna promozionale e i Radiohead sono già tornati! Per la gioia dei fan e lo stupore dei guru del marketing. Dopo il nulla, le immagini. Dopo il silenzio, la musica. E la musica ha ragione, sempre.

Ma il gruppo britannico è solito al lancio di messaggi misteriosi in attesa dell’uscita di un nuovo lavoro. In effetti, la storia delle modalità di comunicazione dei Radiohead, con quel suo modo insolito di rivelare le nuove composizioni, ha da sempre regalato colpi di scena. Basti pensare al particolare rilascio dell’album “In Rainbows” del 2007 (che vi consigliamo di approfondire al seguente link di Slideshare), il quale è stato inizialmente distribuito on-line, con l’obiettivo finale di tutta l’operazione di incrementare le vendite a pagamento dell’opera artistica.

L’innovazione, che fu comunque considerevole, è insita nella filosofia che ne sta è alla base: la libera circolazione della musica non ne scoraggia l’acquisto, ma può esserne un’efficace fonte promozionale. 

L’approccio di Yorke e soci ha avuto in quell’occasione un successo mostruoso (soprattutto economico) già dalla prima fase: secondo “Gigwise.com” i download, nella sola prima giornata di pubblicazione, sarebbero stati 1 milione e 200 mila. Se si moltiplicano per una media di 5 euro offerti a download, si può immaginare quanto possano aver guadagnato dall’iniziativa (e senza dover dividere l’incasso con intermediari).

Quindi, a scanso di tutte le discussioni postume scatenatesi sull’etica più o meno nobile di questa ennesima trovata sicuramente commerciale (come se cercare di vendere più dischi o incrementare onestamente i guadagni dalla propria opera artistica sia un crimine o addirittura immorale), godiamoci l’uscita del prossimo album e togliamoci ancora una volta il cappello con umiltà, limitandoci a ringraziare e imparando da chi fa lezioni di Psicologia del Marketing moderne e dirette, ma soprattutto senza chiedere nulla in cambio, almeno per il momento…

 

• di Mario Donnici •

 

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