In questI mesi di pandemia siamo spinti a confrontarci con noi stessi e con le emozioni che conseguono il periodo di isolamento, la possibilità del contagio, la preoccupazione per noi, per i nostri cari, per il lavoro e per la ripresa delle nostre attività causata dall’emergenza Coronavirus. È davvero una fase psicologicamente molto critica, in cui ognuno fa i conti con difficoltà e risorse proprie della sua persona così come del suo ambiente circostante. Ma abbiamo da tempo scoperto un efficace alleato contro le avversità: la resilienza. Da sempre gli esseri umani hanno messo in campo, nei momenti di difficoltà, un’arma potentissima: la capacità di superare la crisi e di adattarsi. L’evoluzione ci insegna che è proprio questa la base del nostro evolverci come individui e come esseri sociali. Ecco quindi che viene fuori la parola, ormai stra-sentita, di resilienza, ma cos’è esattamente ? Termine mutuato dalle scienze ingegneristiche, essa, semplificando, si riferisce alla capacità di un metallo di assorbire un urto inferto da una forza esterna, senza rompersi. In pratica, resilienza è sinonimo di flessibilità.
L’etimologia della parola “resilienza“
Il termine resilienza deriva dal verbo latino resilio, che significa rimbalzare, saltare indietro. Indica quindi, in generale, l’essere flessibili e dinamici, dunque la capacità di affrontare le avversità e superare i problemi.
Si capisce quindi come la psicologia sociale e del benessere, abbiano attinto a questa efficace metafora per rapportarla ai sentimenti, ai vissuti ed al comportamento umano: la resilienza indica la capacità di far fronte in maniera positiva agli eventi traumatici, di riorganizzare positivamente la propria vita di fronte alle difficoltà, di ricostruirsi restando sensibili alle opportunità positive che la vita offre.
Lo psicologo Andrea Canevaro definisce la resilienza come «la capacità non tanto di resistere alle deformazioni, quanto di capire come possano essere ripristinate le proprie condizioni di conoscenza ampia, scoprendo uno spazio al di là di quello delle invasioni, scoprendo una dimensione che renda possibile la propria struttura».
L’illusione della forza e della felicità
Malgrado una certa mentalità del progresso e dei consumi ci abbia sempre più spinti verso l’illusione della felicità e l’inseguimento forsennato del benessere, è innegabile che le difficoltà, piccole o grandi che siano, il dolore, il lutto, gli eventi traumatici, non sono dimensioni alienabili della vita umana, ma ne costuitiscono la trama. È irrealistico pensare a una vita priva di difficoltà, crisi e crolli, piccoli o grandi che siano. La verità, e questo periodo ce lo sta insegnando, è che le avversità fanno parte della nostra esistenza.
Primi passi verso la resilienza
Una persona resiliente è quella capace di pensare oltre, di proiettarsi in un cambiamento futuro e di cogliere la crisi come momento di ristrutturazione cognitiva, emotiva e relazionale. Il primo passo è rendersi conto che è impossibile rispristinare la situazione precedente e che l’evento, per quanto negativo, porterà dei cambiamenti che potrebbero allargare le vedute la veduta e portare anche delle nuove opportunità. A livello individuale vi sono tre dimensioni proprie della resilienza: quella cognitiva (dei pensieri) e cioè la capacità di pensare in maniera realistica ma positiva, di avere la percezione quanto più possibile razionale di ciò che possiamo controllare e ciò che non possiamo controllare, di ciò che dipende da noi e ciò che non dipende da noi. Quella emotiva, cioè la capacità di sentire, riconoscere ed esprimere le emozioni, di entrare in empatia con gli altri, di dare e ricevere aiuto ed, infine, quella dei comportamenti: la capacità di agire su base razionale e coniugando affetti, emozioni e cervello, adottare dei comportamenti attivi che diminuiscono il rischio e che generano benessere in noi stessi e negli altri.
Essere fluidi come l’acqua
Se dovessimo pensare la resilienza come uno dei quattro elementi, potremmo a ragione paragonarla all’acqua: la fluidità, la capacità di adattarsi e di assumere la forma del contenitore che la ospita, la capacità di scorrere anche tra le rocce, di cambiare e di essere sia un piccolo ruscello, che un mare gigante, di essere calma e silenziosa così come agitata e burrascosa, accogliendo tutti gli stati dell’essere, in un continuo e fluido divenire. Prendendo spunto dalla letteratura, suggerisco una lettura sul tema.
Come le rose nel deserto
Quando ero adolescente, uno dei libri che cambiò radicalmente la mia prospettiva fu “Le rose di Atacama” (titolo originale “Historias marginales”) di Luis Sepùlveda. Il titolo si riferisce alle rose che fioriscono nel deserto salato del Cile una sola volta all’anno: è il loro unico momento di gloria, ma trasformano quel paesaggio brullo e inospitale in una distesa di fiori rosa di una bellezza incomparabile. I semi delle piante hanno una sorprendente capacità di resistenza alle condizioni più dure, sono pazienti e umili.Il libro si compone di trentacinque storie di uomini e donne che hanno in comune la volontà di lottare per i propri ideali e di non piegarsi alle prepotenze. I luoghi dove si svolgono le storie narrate toccano tutti gli estremi della terra: dalla Patagonia alla Norvegia, passando per i campi di sterminio nazisti e le prigioni di Pinochet. I ritratti effettuati dall’autore geniale, disegnano personaggi con diverse personalità ma accomunate da una luminosa forza vitale e dalla grandiosa capacità di non soccombere agli eventi, bensì di trovare un riscatto per sé e per la pripria comunità.
La resilienza, infatti, non riguarda solo un individuo, ma può riguardare un intero popolo. Possiamo far riferimento al popolo cubano, agli indios, al popolo curdo, ai tibetani e, senza andare cos lontano nel tempo e nello spazio, non posso fare a meno di citare il popolo da cui io stessa provengo: quello italiano.
Ricordarsi di “avercela fatta” nel passato, aiuta ad affrontare il presente
Nella mia regione, le Marche, così come in molti paesi del Centro Italia, abbiamo affrontato le conseguenze del violento sisma del 2016, protrattosi per mesi con scosse di diversa magnitudo, ma continue. Gli effetti psicologici del trauma psichico sono ancora evidenti ma posso ricollegare quanto successo ed offrire uno spunto collettivo per gestire la situazione attuale. Il coping adattivo, è anche la capacità di far fronte agli eventi traumatici ricercando le strategie che hanno funzionato in passato. Ad esempio:
- la popolazione è stata capace di organizzarsi in brevissimo tempo per far fronte all’emergenza, con strategie razionali ma anche con nuove idee e azioni;
- la popolazione è stata solidale, unita e coesa.
- La popolazione è stata capace di riprendersi con relativo poco tempo, sfruttando le nuove occasioni culturali ed economiche: concerti, attività solidali e di volontariato, nuove attività commerciali sorte nei luoghi del sisma
- nonostante le imperfezioni del sistema statale, errori ed evidenti lacune, dal basso sono sorte iniziative di solidarietà, di pro-attività e di cultura molto importanti.
Non solo un individuo, quindi, ma un intero popolo possono essere resilienti e invito tutti voi ad utilizzare questo tempo anche per cercare quegli esempi positivi nelle vostre comunità locali. Non dimentichiamo, infatti, che l’essere umano è un animale sociale e che i fattori che implementano la resilienza non sono solo individuali, ma anche sociali (ambiente, clima, rete sociale e sostegno possono fare la differenza).
Ricordiamoci di essere parte di un sistema complesso e che, insieme, possiamo tutti trovare le strategie per uscire dalla crisi.
Per concludere:
Tornando infine ad un’auto riflessione, vi sono diversi metodi per valutare la resilienza. Il più diffuso è la Connor-Davidson Resiliency Scale (CD-RISC 2003) ma esitono anche diverse scale e questionari auto-somministrabili, riferiti alla psicologia della prevenzione ed al coach individuale. Invito i lettori a farsi essi stessi, sulla base di quanto letto, un proprio auto-test sulla propria resilenza, che può essere nello specifico, con riflessioni del tipo:
- Cosa penso di me stesso e della mia vita?
- Di solito, nelle situazioni difficili, riesco in un modo o nell’altro a cavarmela?
- Se sono in difficoltà, riesco a chiedere aiuto?
- Ho una rete di persone intorno su cui posso contare?
- Penso di essere bravo/a a gestire i cambiamenti?
- Sono orgoglioso/a di me stesso/a?
- Sono capace di affrontare situazioni difficili perchè so di averlo già fatto in passato?
- Sono capace di trovare sempre qualcosa per cui sorridere?
Ricordo che queste sono solo delle auto-riflessioni che invito a fare e che, con il giusto percorso, si possono riscoprire delle risorse interne, magari sepolte sotto un po’ di polvere, che un percorso di consapevolezza e supporto psicologico e psicoterapeutico può di certo aiutare a riscoprire, facendo rifiorire fiori anche nelle condizioni meno ospitali. Proprio come le rose del deserto.
Per approfondimenti e riflessioni vi invito a visitare la mia pagina Fb:
Dott.ssa Valentina Virgili Psicologa
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