Aiuto psicologico gratuito: opportunità o passo indietro per la professione privata?
Certamente, quello che stiamo vivendo in queste settimane è un capitolo storico difficile. Era possibile prevederlo? Si poteva agire prima che questo virus sconosciuto diventasse pandemia, costringendo tutto il mondo a fermarsi? Nessuno può dirlo con certezza. Ciò che invece è certo, di questi tempi, è che l’equilibrio psicologico di tutti, anche delle persone che tendono a considerarsi più forti, sta iniziando a vacillare e le risorse per potersi permettere un professionista cominciano a diminuire, costringendo molti a cercare un aiuto psicologico gratuito.
Non tutti abbiamo, infatti, case a due piani o di 200 metri quadri dove passare questa quarantena o una famiglia del mulino bianco o compagni dolci e amorevoli che ci sostengono. Non tutti abbiamo cani da portare a spasso o giardini/terrazze condominiali o supermercati dietro casa e non tutte le aziende hanno potuto predisporre uno smart working o continuare a pagare gli stipendi nonostante la produzione sia ferma.
Tra queste categorie, sopra descritte, troviamo, ahimé, anche gli psicologi; perché al di là della nostra mission, quello per noi è un lavoro che ci consente di pagarci mutui, bollette, spese e via dicendo, e in questo particolare momento storico ci stanno chiedendo, ancora una volta, di mettere a disposizione le nostre competenze in modo gratuito. Abbiamo faticato tanto, ci siamo formati e tras-formati, abbiamo speso tanti soldi per acquisire tutte le nostre conoscenze e competenze e per lavorare su di noi. Ma soprattutto, abbiamo a lungo lottato per il riconoscimento della nostra professione, ci siamo impegnati a farne comprendere l’importanza e l’utilità su tanti fronti (ospedali, scuole, aziende, carceri, ecc.). Abbiamo più volte spiegato, con dolcezza e pazienza, a tanti nostri pazienti il perché non potevamo aiutarli gratuitamente nonché l’intrinseco e profondo valore del pagamento della propria psicoterapia. E posso dire, con assoluta certezza, che ci stavamo riuscendo, ognuno di noi nel nostro piccolo.
Quanto siamo tutelati davvero noi psicologi liberi professionisti? Siamo sicuri di essere tutti psicologi dell’emergenza?
Mi sto domando circa il senso intrinseco di alcune proposte, fatte da enti che dovrebbero rappresentare noi libero-professionisti psicologi, che consistono nel mettere al servizio dei cittadini un teleconsulto gratuito (via telefono o piattaforma di videochiamata) per quanti ne avessero bisogno (come ribadito sopra, sfido io a trovare una persona, anche la più scettica, che possa dire con certezza, in questo preciso momento storico, “no, io non ne ho bisogno!”). In caso di necessità, potranno essere programmati interventi a distanza più strutturati (ma che significa esattamente? Sempre gratis o a pagamento? Non è chiaro). Oltre 4mila professionisti dislocati in tutta Italia hanno già aderito al progetto.
Benissimo, quindi, dopo aver più volte ribadito, in altre sedi, che lo strumento online poteva essere utilizzato soltanto previ colloqui conoscitivi vis a vis, adesso la regola cambia (con relativa burocrazia conseguente): si può utilizzare sin dal primo colloquio. D’accordo, è un’emergenza, direte voi. Appunto, dunque presumo che non tutti gli psicologi siano stati formati per gestirla un’emergenza, perché se esiste una branca chiamata appunto “Psicologia dell’Emergenza” (manco a dirlo, formazione a pagamento!), un motivo ci sarà. Esistono già, sul territorio italiano, tantissime associazioni di VOLONTARIATO (vedi croce rossa, una su tutte) che si occupano di queste tematiche e che si sono attivate sin da subito per offrire un aiuto psicologico gratuito riguardante queste emergenza.
Perché, mi chiedo, estendere la possibilità di attivare questo servizio online gratuito anche ai privati? Siamo sicuri che confondere, in questo momento, sia una buona idea? Ma soprattutto, fatemi capire, i servizi che si offrono gratuitamente e a pagamento non sono gli stessi? Siamo sicuri che gli strumenti che abbiamo acquisito durante la nostra formazione in psicologia possano essere utilizzati e trasformati, senza adeguata formazione, in un contesto di emergenza come questo?
Cosa cambia tra una prestazione a pagamento e una gratuita?
Il primo colloquio è forse quello più importante, perché il paziente deve essere agganciato, devono porsi le basi per una buona analisi della domanda, nonché una costruzione di una solida alleanza terapeutica, che renderà il futuro lavoro terapeutico soddisfacente sia per il paziente che per lo psicologo. Per non parlare della scelta di avviare un intero percorso online gratuito. Con i pazienti a pagamento non stiamo forse lavorando sulle emozioni, sui vissuti, sull’organizzazione del tempo, sulle risorse personali impiegate in questo momento o su quelle perse da ricostruire? Sulle dinamiche familiari, sui sogni e via dicendo, ognuno seguendo le proprie tecniche e il proprio metodo professionale? Con un nuovo paziente, che seguiremmo gratuitamente, su cosa lavoreremmo invece? Qualcuno ha pensato ad un’altra conseguenza, ovvero, che gli psicologi privati, liberi professionisti che campano di questo, che invece in questo momento stanno mantenendo il loro punto facendosi pagare, possano essere tacciati come “venali”? Il messaggio, dunque, che sta passando mi sembra che sia: “se in questa situazione di emergenza i tuoi colleghi lo stanno facendo gratuitamente, perché dovrei pagare te, scusa?”.
L’impressione è che stiamo tornando indietro, senza rendercene conto; e non cadiamo nella tentazione di pensare che sia una cosa relativa esclusivamente a questo momento, perché sono sicura che, se interrogassi i miei colleghi psicologi, almeno una volta nella vita si sono sentiti chiedere: “ma il primo colloquio è gratuito?”, quasi a volte dandolo addirittura per scontato.
Cosa ne sarà di noi? Come cambierà il nostro lavoro futuro?
Ed ecco che io mi sento svilita, nella mia professionalità e nella mia umanità, perché il pensiero che qualcuno possa darmi della “venale” perché chiedo una retribuzione e non mi piego ad un aiuto psicologico gratuito, cosa che mi sembra facciano tutti, sinceramente mi distrugge.
Mi ritrovo qui a chiedermi, anticipando i tempi, se quando finirà questa emergenza toccherà ricominciare la nostra battaglia da capo. Perché non illudiamoci che tutto tornerà alla normalità in breve tempo, la ripresa economica, per ovvie ragioni, sarà lenta. Cosa accadrà alla nostra professione? Cosa ne sarà di tutti quei colleghi che campavano solo di psicoterapia? Il tempo, come sempre, darà le sue risposte, soltanto che stavolta temo davvero quali possano essere.
E voi, cosa ne pensate? Siete preoccupati per il vostro futuro professionale?