• di Mario Donnici •
{link al brano da lettura consigliato: Nancy Sinatra – These Boots Are Made for Walkin’ }
Ok, fare esercizio fisico fa bene sempre.
Ma sapevate che aiuta anche a ridurre il fenomeno del “craving”?
Il craving è inteso come quel forte e inevitabile desiderio di assumere una sostanza o più in generale di soddisfare un bisogno che può essere scatenato da una sostanza o dalla presenza di uno stimolo neutro o secondario, ripetutamente associato all’effetto gratificante della stessa. In altre parole, si percepisce una sensazione crescente di tensione che precede immediatamente l’inizio del comportamento. Questo fenomeno è associato a pensieri ossessivi, sintomi fisici e comportamenti di irrequietezza connessi alla dipendenza. Abbiamo già sintetizzato precedentemente il rapporto tra dipendenza e addiction qui. Ma a questo proposito risulta interessante la definizione di dipendenza patologica proposta da Caretti e Di Cesare (2005) che, attraverso una visione dimensionale e multifocale, potrebbe consentire di comprendere meglio i fenomeni di addiction. Gli autori, infatti, definiscono così la dipendenza patologica:
“Una forma morbosa caratterizzata dall’uso distorto di una sostanza, di un oggetto o di un comportamento; uno stato mentale disfunzionale caratterizzato da un sentimento di incoercibilità e dal bisogno coatto di essere reiterato con modalità compulsive; ovvero una condizione invasiva in cui è presente il fenomeno del craving, nell’ambito di un abitudine incontrollabile e irrefrenabile che causa un disagio clinicamente significativo”.
I risultati preliminari di una ricerca da parte dell’ UCLA di Los Angeles, confermano che fare esercizio fisico almeno 3 ore a settimana ridurrebbe il verificarsi di episodi compulsivi e abbasserebbe i livelli della sostanza assunta nel corpo. Non solo, questa buona abitudine come è sato largamente dimostrato umenta il rilascio di dopamina nel cervello, ovvero quel neurotrasmettitore maggiormente connesso con l’attivazione del nostro circuito del piacere.
La secrezione della dopamina produce sensazioni euforiche e ci fa sentire meglio.
Infatti, il sistema neurotrasmettitoriale dopaminergico mesolimbico risulta essere di fondamentale importanza nel sistema della gratificazione, il quale sembra controllare la spinta motivazionale per la ricerca dello stimolo gratificante. Sono passati più di cinquant’anni (1958) da quando la dopamina come neurotrasmettitore è stata scoperta da Arvid Carlsson e Nils-Åke Hillarp presso il Laboratorio di Chimica Farmacologia dell’Istituto Nazionale del Cuore, in Svezia. Da allora, la ricerca sul ruolo di questo neuromediatore ha dato un grande impulso alla conoscenza dei numerosi processi mediati a livello centrale in cui è coinvolto e fra questi anche l’addiction. Probabilmente, la dopamina è la sostanza neurochimica più ampiamente studiata e che ha avuto un maggior impatto sulla psichiatria biologica e sulla psicofarmacologia di ogni altro neurotrasmettitore (Iversen e Iversen, 2007).
I sistemi dopaminergici centrali non sono sicuramente gli unici substrati anatomici dell’addiction
Né la dopamina è l’unico neurotrasmettitore coinvolto, ma è doveroso ricordare che sino a circa 35 anni fa, le basi neurobiologiche dell’addiction ci erano pressoché sconosciute. Tra gli altri sistemi che partecipano, anche se con ruoli secondari, agli effetti comportamentali delle diverse sostanze d’abuso psicotrope è bene ricordare il sistema neurotrasmettitoriale per gli oppioidi, che medierebbe i processi di gratificazione conseguenti al consumo della sostanza; il sistema serotoninergico, che contribuisce ad attivare l’insieme dei meccanismi per i quali stimoli di differente natura acquisiscono la capacità di indurre risposte motorie ed emozionali; il sistema GABAergico che inibisce il rilascio di dopamina a livello del sistema nervoso centrale contribuendo all’instaurarsi della tolleranza e della dipendenza verso diverse sostanze psicotrope (Cannizzaro, 2005).
Insomma, una combinazione tra esercizio fisico e il giusto approccio terapeutico, potrebbero salvarvi dal fenomeno del craving e dunque migliorarvi la vita.
Oppure più semplicemente, salvarvi dallo smartphone a vita, dipende dalla dipendenza che volete combattere…
• di Mario Donnici •