La quarantena imposta dall’emergenza sanitaria da Covid-19 che stiamo vivendo può apparire come una perdita di tempo, come un impedimento, come una fonte di agitazione. Proviamo a cambiare prospettiva e a sfruttare la nostra pazienza.
Proviamo a passare da una gratificazione immediata, caratterizzata da un esaurimento istantaneo e proiettata nella sovrapposizione di un nuovo bisogno futuro, ad un godimento dello stare nel presente.
La pazienza permette questo cambiamento.
Sì è erroneamente portati a pensare alla pazienza come sinonimo di immobilità, come un concetto che evoca staticità, senza riflettere sul fatto che rappresenta ben altro.
La pazienza è una virtù dinamica, dotata di energia, non si esaurisce in una non-azione ma si sostanzia di un agire centrato e riflessivo.
Se l’impazienza spinge all’azione, spesso concitata e confusa, che ci allontana dalla realtà delle cose, allora la pazienza ci accompagna nello stare nella realtà e lo fa in modo tutt’altro che statico perché coniuga attivamente una dilatazione del tempo, l’ascolto, l’osservazione e la comprensione accurata e profonda della realtà interna ed esterna.
“La pazienza è aspettare. Non aspettare passivamente. Questa è pigrizia. Ma andare avanti lentamente, quando il cammino è difficile” – Tosltoj
LA PAZIENZA COME PASSIVITA’ ATTIVA
E’ proprio questo preciso momento storico che ci permette di avvicinarci alla pazienza. In una sorta di apertura verso l’interno, ponendosi in ascolto ed intraprendendo un viaggio nel mondo interiore, abbiamo la possibilità di mettere da parte, direi addirittura di tacitare, quella cronologia convenzionale del tempo, imposta dalla società e di riappropriarci di un ritmo lento ed intimo, paziente. Ma vediamo cosa significa essere pazienti.
L’etimologia della parola “pazienza” ci riporta al latino patiens, participio presente del verbo pati, ovvero sopportare, soffrire, tollerare ed al greco paskein, provare, ricevere una sensazione, sopportare, soffrire. Pertanto, paziente è colui che sopporta una situazione sfavorevole, una avversità, procastinando una reazione immediata ed istintiva.
Tutto questo, quindi, potrebbe portare ad associare la pazienza alla rassegnazione, all’inerzia ed anche alla vigliaccheria. Nulla di più lontano dalla reale portata della pazienza che, invece, risulta essere, ossimoricamente parlando, una passività attiva. Colui che è paziente non si accontenta delle prime rappresentazioni della realtà ma attende altre e nuove traiettorie di senso che si palesano attraverso un atto riflessivo. La pazienza, che si nutre di riflessione, permette di avvistare nuove vie, altri lidi, senza, però, confondersi con essi o immedesimarsi in essi.
“Il tempo e la pazienza possono più della forza e della rabbia”, Jean de La Fontaine
LA PAZIENZA NEI BAMBINI: UN AIUTO NELLA GESTIONE DELLE EMOZIONI
Pensiamo, in questo momento, ai bambini, costretti a stare a casa, privati del contatto con gli amici, lontani dalla scuola e dalle attività sportive. Si chiede loro di aspettare, di avere pazienza. Una tale richiesta è, molto spesso, male accettata e non è difficile capirne il motivo: si è passati dal tempo delle corse frenetiche, dalle attività ad incastro ad un tempo sospeso e dilatato, dove alberga una noia, ai loro occhi, quasi sconosciuta.
Walter Mischel, psicologo austriaco emigrato negli Stati Uniti, specializzato nella psicologia della personalità e nella psicologia sociale, diede un grande contributo alla ricerca psicologica con i suoi studi sulla cosiddetta pazienza in vista di una “gratificazione differita”.
Mischel è ricordato sortattutto per il suo “test del marshmallow”, ideato dallo stesso intorno agli anni ’60. Il test consiste nel lasciare un bambino da solo in una stanza con un tavolo sopra il quale è posto un marshmallow (una caramella o un confetto di zucchero) e gli si chiede di scegliere se mangiarlo subito o attendere quindici minuti ed averne in premio due. Alcuni bambini sono portati a pazientare, altri, invece, saranno mossi dall’impeto di mangiare immediatamente il dolcetto, senza riflettere sulla possibilità di ricevere una ricompensa futura.
Mischel comparò le capacità di autocontrollo dimostrate dai bambini con i successi ottenuti in età adulta ed i risultati dimostrarono come chi aveva saputo aspettare, chi aveva avuto pazienza, era stato in grado di raggiungere un numero maggiore di traguardi in svariati ambiti di vita.
A tal proposito Mischel rivisitò il famoso detto di Cartesio “penso, dunque sono”, trasformandolo in “penso, dunque posso cambiare ciò che sono”.
Mi permetto di aggiungere una riflessione. Se il pensiero è ciò che sta nel mezzo tra la sensazione e l’azione, allora la pazienza sosta nel pensiero.
Aiutiamo noi stessi ed i nostri figli ad allenare un pensiero paziente, ad osservarlo per la gestione delle emozioni. Sfruttiamo questo tempo ascoltandone la lentezza, rifuggendo la pigrizia, rispettando il ritmo interiore ed il ritmo della natura.
“La pazienza ci ricorda che le cose si svolgono secondo i propri ritmi. Non si può anticipare le stagioni; arriva la primavera e l’erba cresce da sola”. Jon Kabat Zinn
IL MANDALA, UNO STRUMENTO DI “TEMPO PAZIENTE”: DAI DISEGNI RITUALI BUDDISTI E LE PITTURE DI SABBIA NAVAJO ALL’ARCHIETIPO MANDALA DI JUNG.
Siamo oramai abituati a scorgere, negli scaffali delle librerie, raccolte di disegni geometrici da colorare, i cosiddetti Màndala.
Mandala in sanscrito significa “cerchio”, “ciclo” e rappresenta la creazione artistica più originale e spettacolare del buddismo. I Mandala, nell’iconografia tibetana, rappresentano simboli spirituali colorati attraverso l’utilizzo di sabbia finissima dalle diverse sfumature (un tempo venivano usate pietre preziose come i lapislazzuli, i rubini, che finemente triturati, divenivano polveri colorate). Il processo paziente di creazione di un Mandala induce alla preghiera, alla meditazione e, in alcuni casi, si arriva ad esperire uno stato di trance.
Anche nel popolo dei Navajo si ritrova una tradizione di pitture di sabbia circolari. Nella cultura dei Nativi americani la pazienza si basa sulla convinzione che tutte le cose si risolvano col tempo. Un tempo che, secondo una prospettiva olistica, scandisce i momenti di un grande disegno dell’universo al quale nessuno può sottrarsi e verso il quale si deve assumere un atteggiamento paziente.
Carl Gustav Jung scrisse quattro saggi sui mandala, introducendone un archetipo, con rimando ai concetti di inconscio personale ed inconscio collettivo. Al di là delle interpretazioni mandaliche, Jung sottolineò come la paziente costruzione di un màndala rappresentasse un mezzo attraverso il quale ognuno potessa giungere ad una propria individuazione, ovvero alla sperimentazione di un cammino verso una nuova visione del mondo.
“Modificando l’immagine che l’uomo si crea del mondo, l’uomo pensante modifica anche se stesso” – Jung
Ecco, allora, che si riafferma il pensiero paziente, presente, prolifico ed attivo.
Si deve a Jung, quindi, l’introduzione del concetto di mandala nel contesto culturale occidentale come espressione inconscia del Sé, attraverso un atto riflessivo di minuzia paziente.
Quali benefici possiamo ottenere ricorrendo al mandala? Un allenamento alla concentrazione, una sorta di momento fuori del tempo nel quale centrare i pensieri, scorgere nuove traiettorie di senso, ridurre l’ansia, trovare cornici più consone alla soluzioni dei problemi, sperimentare la bellezza di sostare nel pensiero paziente.
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