Nice to e-meet you: Marco Rossetti incontra i pazienti psichiatrici della Comunità Riabilitativa “Il Giardino dei Semplici”

Nice to e-meet you: Il gruppo abbraccia il mondo

(Opera artistica a cura degli ospiti della struttura “Il Giardino dei Semplici” per la realizzazione del Calendario  2019)

Dialogo tra i pazienti psichiatrici della Comunità Riabilitativa “Il Giardino dei Semplici” e l’attore Marco Rossetti, invitato ad un incontro virtuale, durante una attività terapeutica di gruppo

Nice to e-meet you: il gruppo incontra il mondo” nasce dall’idea di far viaggiare sullo stesso binario persone aliene tra loro, le cui storie di vita corrono abitualmente su linee parallele e non sono destinate ad incontrarsi mai.
Marco Rossetti

Da più di un anno ormai viviamo un tempo in cui ci sentiamo tutti un po’ più alieni al mondo esterno al nostro con il rischio, di vivere sopraffatti dalle avversità, immersi in una realtà che ci impone il rispetto di regole dettate da eventi imprevedibili che minano la nostra libertà. In questo momento e, forse proprio “grazie a questo” e non solo “a causa di questo”, abbiamo il dovere di spingerci verso opportunità impensabili fino ad ora e magari poter diventare anche un po’ più protagonisti del nostro destino, anche se soltanto per un tempo limitato e a bordo di un mezzo virtuale.

Tutto ciò ha un significato ancor più specifico se ci si immerge nella quotidianità di un gruppo di pazienti psichiatrici di una comunità terapeutica situata in luogo tanto affascinante quanto remoto della Calabria. Ecco che, come professionisti sanitari e responsabili del loro percorso di riabilitazione socio-psico-corporea, ci sembrava proprio questa l’occasione da cogliere, invece, per tentare di rendere possibile l’impossibile e aprire le braccia e le emozioni al mondo che sta là fuori, nella speranza che il lontano calore virtuale torni presto a coesistere anche al più vicino calore umano.

Un obiettivo affascinante ma pieno di insidie perché se è vero che tutto ciò che è novità stimola il gruppo, lo motiva e crea aspettative, di contro però lo espone al potenziale pericolo di uno scambio con vissuti emergenti vecchi e nuovi che, durante un incontro di gruppo con pazienti psichiatrici, contattano quelli di “ospiti” completamente estranei. Perciò diviene fondamentale il ruolo del conduttore che favorisce il reciproco ascolto empatico; che introduce, media, limita, incoraggia, spinge, accarezza e accompagna delicatamente passo dopo passo lo scambio per tutta la durata dell’incontro. Quindi come diceva qualcuno a proposito di viaggi:

“Una barca nel porto è sicura, ma non è per questo che è stata costruita”

E allora partiamo in questo viaggio tramite la trascrizione testuale (grazie alla collaborazione della Dott.ssa Serafina Greco) di questo avvincente scambio di battute tra i pazienti (i cui nomi interi vengono omessi), il conduttore dell’incontro e psicologo Dott. Mario Donnici e l’attore Marco Rossetti che, tra le innumerevoli interpretazioni della sua carriera, di recente ha vestito i panni del calciatore Daniele De Rossi nella fortunata serie Tv distribuita da Sky “Speravo de morì prima”.

Il Dott. Donnici fa partire un video introduttivo con il brano “La valigia dell’attore” di Francesco De Gregori e presenta l’ospite al gruppo…

Marco Rossetti: Ho visto il video che presentava una carrellata di attori, non mi sento di esser messo in quella valigia (di personaggi importanti per il cinema), per me loro sono fonte di ispirazione. Io faccio l’attore, per me è una fortuna fare questo “lavoro” se così si può definire. Per me il lavoro dell’attore è una passione. È prima di tutto quello che voglio fare. Come passione principale c’è lo scambio, l’interazione con gli altri, con il partner con cui scambi le battute, con il regista, con gli sceneggiatori. Secondo me il lavoro dell’attore è più una possibilità di introspezione. Questa passione nasce così: come voglia di conoscersi, come penso debba farsi nel percorso di ognuno di noi, continuare a scavarsi dentro per capire chi siamo, cosa vogliamo. Parlare adesso con voi, conoscervi sarà un’altra occasione per accrescere il mio bagaglio di esperienza di vita umana che poi spero di potermi portare su quello che si chiama lavoro, che è più una fortuna.

– Dott. MD: Marco, sei molto umile anche sei hai interpretato una marea di ruoli tra cui un idraulico, un rapinatore, un bullo del liceo che poi muore, un tenente, un giornalista, un cameriere di catering e a teatro anche Catilina; poi hai recitato in Squadra Mobile nel ruolo di Riccardo Pisi, in RIS, in Distretto di Polizia ed infine hai fatto De Rossi. Ma come si fa ad interpretare tanti personaggi con caratteri così diversi?

Marco: Questa è una domanda giusta. Secondo me è come dicevamo prima. È una continua ricerca di sé stessi negli altri. Quando io mi avvicino e mi approccio ad un personaggio, come nel caso del calciatore De Rossi che è un personaggio realmente esistito e realmente esistente, è stato un po’ più difficile il distacco. Perché quando uno interpreta un personaggio che è realmente esistito, che è un’icona nell’immaginario di tutti noi, c’è il rischio di diventare un’imitazione, quindi una macchietta. Il lavoro dell’attore è sostanzialmente: studiare gli altri per studiare sé stessi; mettersi completamente a disposizione del personaggio. Lo ripeto: per me il lavoro dell’attore non è un “lavoro”, è una fortuna, è una possibilità di crescere, di capirsi, di capire la vita, di capire gli altri, di immedesimarsi negli altri, di empatizzare. Io credo che nella vita sia indispensabile empatizzare, perché sennò si rimane freddi, ognuno pensa al suo e poi conduci una vita bidimensionale, io invece spero di diventare, non tridimensionale, ma molto di più, di andare in alto, in basso, da tutte le parti; questo me lo auguro e auguro che sia per tutti così. Quando studio un personaggio cerco di rubare in giro. Questo, secondo me, è un esercizio bellissimo; per eseguirlo devi avere un sacco di tempo a disposizione, però per me questo è studio; c’è chi studia sui libri, noi studiamo in metropolitana o sugli autobus.

“I miei insegnanti di accademia mi dicevano: «Mettevi in metropolitana e fatevi da capolinea a capolinea. Mettevi a guardare chiunque vi capiti a tiro. Cercate di immaginare chi potete avere davanti. Mettevi nei panni degli altri.”

Foto di Annarita Barbarossa

 – Dott. MD: A proposito di empatia qual è il personaggio con cui hai empatizzato di più e quello invece con cui non sei riuscito ad empatizzare come volevi?

Marco: Secondo me la risposta alla tua domanda sta nella domanda stessa. Nel senso che è indispensabile mettere da parte il giudizio, perché se tu riesci a metterlo da parte puoi calarti molto di più nelle sembianze dell’altro, questo per quanto riguarda il mio lavoro. È un qualcosa che io nel mio percorso di vita ho, per fortuna, messo a frutto, ovvero il fatto di non preoccuparmi del giudizio dell’altro. È una cosa che mi ha fatto fare un salto di qualità in termini di uomo, oltre che di attore. La vita ci sottopone continuamente al giudizio degli altri e invece noi dobbiamo preoccuparci solo del giudizio nostro; al giudizio come consiglio e non come un dito puntato che ti dice solo: «Hai sbagliato! Hai sbagliato! Hai sbagliato!». Il giudizio di sé stessi ti porta ad un miglioramento, il giudizio degli altri, quando ha un valore negativo, ti porta ad un abbattimento che è quanto di più lontano ci debba essere dall’esistenza umana, perché non riesci più ad andare avanti, a focalizzarti su quello che è il tuo valore, quindi ad esplodere e a fiorire come è giusto che sia. Per tornare alla domanda dell’empatizzare con un personaggio, il mio personaggio preferito è stato, dato che ero giovane ed ero il capo comico di una compagnia di tanti giovani, Catilina a teatro. Non so se è stata la mia migliore interpretazione, ma è piaciuta. Il viaggio per interpretare Catilina è stato bellissimo, perché mi sono dovuto catapultare a moltissimi anni fa, in una storia che è la nostra storia che ci riguarda molto da vicino. Per cui ritorno sempre alla fortuna di fare questo lavoro, è stato un approfondimento che probabilmente non avrei fatto se non fossi stato costretto, diciamo, ad interpretare Catilina. È un personaggio che mi porto dietro perché è stata un’esperienza importante di crescita della carriera.

– Placidia: Quando interpretavi il bullo che poi è stato ucciso, a cosa pensavi in quei momenti, a qualcosa che ti ha fatto piangere, a qualche immagine, a qualche riflesso?

Marco: Quando interpreto i miei personaggi cerco di capire se nella mia vita ho incontrato quel personaggio. Ahimè, di bulli se ne incontrano tanti nella vita, per cui ho cercato di ricordarmi quali erano le mie esperienze con “questa persona”. Purtroppo, nelle scuole i bulli ci sono, ma penso che faccia parte di un panorama vasto dell’essere umano. In ogni situazione c’è il bullo, c’è l’innamorato, c’è l’innamorata, c’è quello più bruttino, quella più bellina, quella con gli occhiali, quello con i brufoli. Secondo me siamo, ovviamente, tutti allo stesso livello. A proposito di questo: Shakespeare con “Romeo e Giulietta” ha messo in una commedia unica tutto quello che è il panorama e la scansione dell’esistenza umana. Quindi quando ho interpretato il bullo, che poi ha fatto una brutta fine, ho pensato a quella che era la mia esperienza da giovane nelle scuole e poi ho cercato di tirar fuori l’energia del bullo con la mia energia, che è un’energia buona.

Il dott. Donnici ritorna sulla domanda di Placidia per approfondirla e ricorda delle tecniche di ipnosi usate per aiutare gli attori ad interpretare scene drammatiche come la morte, quindi chiede a Marco Rossetti come fa ad immedesimarsi in queste scene e a che cosa pensa prima di morire per finta.

Marco: Prima di morire per finta ho pensato ad un’esperienza che mi è realmente accaduta.

“Io ho avuto un incidente in moto quando ero giovane, in cui ho pensato realmente di morire. Ho avuto un incidente bruttissimo. Tra uno svenimento e l’altro pensavo a mia madre. A quanto mi dispiacesse lasciare mia madre che mi avrebbe pianto se fossi realmente morto. Quando ho interpretato il bullo ho pensato a questa sensazione che purtroppo mi è capitata e per fortuna è finita bene.”

– Giuseppe: A proposito di giudizio, io penso che quando si fa una scelta positiva il giudizio è positivo, quando si fa una scelta negativa il giudizio è negativo. Qui siamo una famiglia cristiana e quando si fa una cosa con passione, la stanchezza non si sente. Vivi e lascia vivere! Marco Rossetti è una persona molto concreta e sa fare il suo mestiere.

Marco: Giuseppe, sono pienamente d’accordo con te! Secondo me entrambi devono confluire nella stessa direzione, cioè nel potersi migliorare. Anche il giudizio negativo, se tenuto un po’ a distanza, e non solo atto a infliggere del dolore o un sentimento negativo, aiuta a migliorarsi così come il giudizio positivo. Solo che il giudizio positivo non fa che tirarti su, il giudizio negativo tende un po’ ad affossarti. Per questo, tornando al discorso dello studio su me stesso, ho imparato a prendere il giudizio negativo come un qualcosa di positivo, a trasformarlo in positivo. Nel mio lavoro è una fortuna poter studiare sé stessi.

– Giuseppe: Per me il dilemma non è essere o non essere, ma credere o non credere.

Marco: Stupenda questa cosa! Grazie Mario per avermi invitato. Grazie Giuseppe. Questa massima di Giuseppe è un qualcosa che io porterò gelosamente e preziosamente nel mio bagaglio di esperienze.

Serafina: Ti è capitato di seguire un percorso psicoterapico come preparazione ad un tuo lavoro?

Marco: Sì, sono stato in terapia, ho fatto un percorso di due anni e mezzo di cui sono felicissimo. L’ho fatto più che per un personaggio, per me stesso, sempre per un discorso di conoscenza. È stato un viaggio bellissimo che ho consigliato anche a tanti amici, che magari possono essere un po’ più scettici su questo tipo di percorso, perché viene visto come un qualcosa di negativo.

“Quando uno si approccia ad un percorso di terapia, viene visto come una persona “sbagliata”, invece secondo me è tutto il contrario: è proprio una persona fortunata, brava, coraggiosa, che si sta mettendo in gioco e che poi avrà la possibilità di elevarsi ancora di più rispetto alle persone che invece scetticamente e stupidamente parlando pensano che sia solo un percorso per persone che hanno dei problemi.”

– Francesco: Hai mai provato vergogna ad interpretare qualche personaggio o una parte di questo personaggio ed in caso come hai superato la vergogna?

Marco: Sì, ho provato vergogna durante uno spettacolo perché ero un po’ svestito. Provavo vergogna soprattutto nel pensare che mia madre mi potesse vedere in quelle “non vesti”. Ho affrontato la vergogna pensando a tutt’altro. In questo lavoro devi abbandonare quello che c’è dall’altra parte, cercare di focalizzarti su di te. È per questo che il mio lavoro è associabile a quello che è la nostra vita invece che fare questo con le dita (punta le dita verso la webcam) bisogna fare questo (punta le dita verso sé stesso), ma poi abbracciarsi. Bisogna puntarsi le dita su di sé, ma in modo che poi diventi un abbraccio a sé stessi. L’ho affrontata concentrandomi ancora di più su quello che stavo facendo.

Dott. MD: Nelle nostre attività riabilitative utilizziamo il teatro, le maschere e tecniche di recitazione. Tempo fa abbiamo fatto un esercizio con delle vocali, in cui dovevamo vocalizzare ed è sempre un po’ un lasciarsi andare sei d’accordo?

Marco: Tutte le maschere sono pesanti, sono affascinanti, perché ognuno è una maschera, è una personalità, è un qualcosa di profondo e di importante. Non ci sono maschere più o meno pesanti, si tratta solo di come io mi pongo nei confronti del personaggio. Io cerco di scavare sempre più a fondo possibile.

Marco Rossetti

Marco Rossetti nel ruolo di De Rossi

“Ho avuto la possibilità di interpretare il personaggio di Daniele De Rossi, un calciatore iconico, esemplare, campione del mondo, una personalità molto forte ed è stata per me un’esperienza bellissima. Nonostante io sia della Lazio, andare ad interpretare un giocatore della Roma è stato uno scherzo del destino però felice, che mi ha dato l’opportunità di interpretare una persona che sul campo ha dato molto sia a livello calcistico che a livello umano. Daniele De Rossi oltre che essere un grande calciatore è un grande uomo. Per cui ci sono personaggi che ti rimangono un po’ di più dentro, ma solo perché hai la possibilità di poterti innamorare un po’ di più.”

In seguito viene chiesto a Marco Rossetti come sia riuscito ad interpretare Catilina, considerato un malvagio, cioè un ruolo che a Marco Rossetti forse non appartiene nella vita.

Marco: Noi siamo tutto e niente. Catilina, è vero, aveva un temperamento forte, ma era pure un momento storico in cui ci si approcciava in quel modo. Era un mondo sanguinolento. Catilina si è trovato in mezzo. Sicuramente sto dalla parte di Catilina rispetto ad un Cicerone che poi lo ha tradito. Catilina è stato un generale molto focoso, che non si è mai trovato indietro. Per tirare fuori questo carattere diciamo “violento”, che poi fosse una violenza giustificata o meno, puoi fare un miliardo di approcci. Come dicevi tu puoi fare improvvisazione, i giochi di ruolo. Si tira fuori, si vede l’emozione del personaggio, la si delinea e dopodiché la si va a ricercare su sé stessi, per questo quando si va a studiare un personaggio sostanzialmente si studia se stessi. A prescindere dal fatto se il personaggio sia buono o cattivo, tu di quel personaggio devi capire quali saranno i sentimenti che regneranno durante l’arco della storia, dopodiché uno cerca di farli propri. Diciamo che un essere umano è dotato di qualsiasi strumento per poter arrivare a qualsiasi tipo di sentimento, all’amore, alla rabbia, alla gioia, al dolore, alla felicità; si tratta solo di capire dove andare a ricercarla dentro sé stessi. Per cui è una continua ricerca nel conoscersi bene. Anche io ho fatto e continuo a fare esercizi di meditazione, di studio del movimento, di studio del mio respiro. È un continuo trovare delle finestrelle nuove.

Gemma: A proposito della malvagità di Catilina, può capitare di immedesimarsi troppo nel personaggio da portarselo anche fuori dal set nella vita di tutti i giorni?

Marco: Sì, siamo esseri umani per cui il sentimento che andiamo a ricercare lo facciamo nostro. Ed è proprio per questo che quando parliamo delle maschere indossate, che è un po’ una metafora, ma sostanzialmente è la concretezza. Nel senso che poi dobbiamo sì andare a ricercare quell’emozione che nel caso di Catilina è una persona cattiva, estremamente determinata, ma poi dobbiamo assolutamente ricordarci di quello che stiamo facendo. Per cui è comunque un andare a toccare un sentimento, ma cercando di guardarlo con un occhio esterno, con il famoso terzo occhio. Stanislavskij diceva che nell’immedesimazione tu devi avere comunque un occhio esterno che ti permette di vederti da fuori, proprio per cercare di controllarla questa emozione, andare a toccarla, vederla, ma poi gestirla un po’ dal di fuori. Farla propria, ma tenerla lì, senza giudicarla. Bisogna esercitarsi. Esiste una tecnica che aiuta proprio in questo, una tecnica fonetica che è indispensabile. Questo fa parte di uno studio, chiamiamolo “da falegnameria”, che è uno studio “accademico” del proprio strumento vocale piuttosto che scenico, uno studio di tutto il movimento e del corpo. Questi sono altri studi che si affiancano a quella che è l’immedesimazione, quindi la conoscenza e lo scandagliare tutti i sentimenti.

Antonietta: In cosa ti ha ispirato la storia di Pirandello?

Marco: Pirandello per me è un autore straordinario. Forse l’autore italiano al quale mi ispiro di più. Tutte le sue opere sono fonte di ispirazione, purtroppo non ho avuto mai la possibilità di interpretarne una. Però le ho lette tutte. Oltre ad essere un attore teatrale e anche un maestro di vita, ha raccontato lo spaccato della Sicilia, di un’Italia intera. Per cui è una grande fonte di ispirazione per me.

Marco (un paziente): Vi è piaciuto interpretare Catilina?

Marco: Catilina mi è piaciuto tantissimo. (Qui il Dott. Donnici aggiunge che Marco, il paziente, è un grandissimo appassionato di storia) Quindi la prossima volta che faccio uno spettacolo su Catilina o chi per lui vengo a studiare con te, così mi insegni qualcosa in più, perché io non ho studiato tanto a scuola. Questo lavoro mi permette di andare a ristudiare un pochino. Quando mi sono affacciato a Catilina, le catilinarie, Cicerone, tutta quella parte di storia che è la nostra storia è stato un percorso fantastico. Per questo Catilina può essere visto come il sanguinolento, ma secondo me in mezzo a tutto quel gruppaccio di consoli ce ne stavano di più malefici. È stato un viaggio bellissimo.

Marco Rossetti

Foto di scena in cui Marco Rossetti interpreta Catilina

Antonio: Con questo lavoro che fate vengono anche dolori fisici?

Marco: Ne vengono diversi di dolori fisici. Lo sport aiuta proprio in questo, per poter affrontare moli di lavoro importanti. Uno pensa che il lavoro dell’attore sia andare là, dire due batture e finisce il gioco. In realtà questo lavoro prevede una preparazione anche fisica non indifferente. Sicuramente non è il lavoro di un operaio, di uno che va a scaricare le merci tutte le mattine alle quattro, ma ci sono comunque dei lavori, degli orari impegnativi, ci sono delle corse a freddo che rischiano di farti stirare i muscoli e a me è successo.

“C’è sotto un esercizio continuo e costante, indispensabile per quanto mi riguarda, perché è quello che mi fa appassionare quotidianamente e continuamente a questo lavoro. È un continuo ricercarmi. In tutti questi esercizi che faccio c’è una ricerca continua di me stesso: nello sport, nella lettura e nella meditazione. Anche la meditazione è un lavoro oltre che essere un rilassamento.”

Antonio: Consiglieresti agli altri di fare l’attore? Rifaresti le parti che hai già fatto?

Marco: Bella domanda. Diciamo che consiglierei a tutti di approcciare lo studio in quanto studio di sé stessi. Quello che voi fate con il dottor Mario quando lui mi dice che fate delle improvvisazioni, esercizi fisici di respirazione. Il mondo della recitazione è molto complicato, perché è un mondo senza scrupoli. È abbastanza difficile mantenersi, però diciamo che il lavoro dell’attore è una fortuna poterlo fare. Per cui consiglio il più possibile di praticare, di giocare, di rimanere nel gioco soprattutto. E si, le parti le rifarei tutte dalla prima all’ultima, perché sono state diverse e tutte abbastanza diverse l’una dall’altra. Grazie di avermi fatto questa domanda, perché sto ripensando a qualche parte a cui non pensavo da un po’. Le rifarei tutte, sono state scoperte bellissime e viaggi bellissimi.

Marco Rossetti

Screenshot dell’incontro di gruppo con Marco Rossetti

A questo punto, il Dott. Donnici spiega che a breve si farà in gruppo un esercizio teatrale di spontaneità tratto da Jacob Levi Moreno e invita i pazienti a proporsi per recitare insieme a Marco Rossetti. Si offre volontario Giovanni. Il test consiste in uno scambio di battute tra uno psicologo (interpretato da Giovanni) e il paziente (interpretato da Marco Rossetti).

Marco: Dottor Giovanni mi sente?

Giovanni: La sento.

Marco: Dottor Giovanni, io ho un problema, perché sono innamorato, ma non so se l’amore è corrisposto.

Giovanni: La capisco bene. Mi parli della relazione con questa ragazza.

Marco: Le spiego che cosa succede. Quando io la chiamo non risponde mai. Arriva sempre quando io mi avvicino alla cucina. Lo sa perché dottor Giovanni?

Giovanni: Perché?

Marco: Sono innamorato del mio cane. Non capisco se il mio cane vuole solo il mangiare da me o vuole anche il mio amore.

Giovanni: Se il vostro amore è il cane, credo che non vi possa mai rispondere.

Marco: Certo. Però lo sa che cosa ho notato dottor Giovanni? Che il mio cane parla con gli occhi. E allora ho capito che io ad un certo punto forse troverò la donna più giusta per me solo guardandola negli occhi, perché sto facendo un esercizio totale con il mio cane. Faccio bene o faccio male?

Giovanni: Allora signor Marco, io le consiglio di lasciare il cane da parte e di cercare un ragazza vera, non a quattro zampe, ma a due zampe.

Marco: Questo è un ottimo consiglio.

Giovanni: Il cane è un essere che va amato dagli esseri umani, però non mi sembra giusto provare amore per una donna guardando negli occhi un cane.

Marco: Mi sembra che comunque mi abbia dato un consiglio notevole e cioè che io devo cercarmi una donna come fidanzata. È un ottimo punto di partenza. Non mi devo accontentare del cane sostanzialmente.

Giovanni: Esatto.

Il Dott. Donnici chiede a Marco Rossetti di lasciare una sua impressione al gruppo prima di salutarsi.

Marco: Vi ringrazio. È stata una mattinata bellissima, con domande che hanno stimolato il mio pensare. Non credo di aver insegnato nulla, ho solo raccontato la mia esperienza e voi la vostra. Grazie delle domande, grazie dello scambio perché trovo che queste cose portino ad un viaggio in continuo miglioramento.

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Il giardino dei semplici

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